Articolo su Araberara

  • La lettera è una risposta ad un articolo pubblicato su Araberara a Dicembre 2024.

LA MONTAGNA ABBANDONATA. UNA PROSPETTIVA DIVERSA

Gentile direttore, ho letto con interesse il suo articolo sullo scorso numero di Araberara titolato “La Montagna abbandonata – monologo sui massimi sistemi montani”, che tratta uno dei temi più ricorrenti e discussi negli ultimi tempi quando si parla di turismo, industria e vita in montagna: lo spopolamento. Mi permetto di rispondere con alcuni ragionamenti. Spero sarà così gentile da pubblicarmi e, se vuole, rispondermi.

Mi chiamo Paolo Perosino e faccio, in questa lettera, da portavoce per il gruppo Terre AltRe che, insieme a Orobie Vive, ha organizzato il partecipatissimo incontro intitolato “Quale montagna vuoi?” lo scorso 28 novembre a Clusone.

La domanda che lei, direttore, rivolge ai lettori è più o meno questa: come facciamo a fermare lo spopolamento senza intraprendere nuove modifiche al nostro territorio, volendo ad ogni costo salvaguardare l’estetica montana da qualsiasi intervento umano, per mantenere quell’estetica da cartolina che gli “amanti patologici” della montagna vogliono vedere nel momento in cui vengono a visitarla?

Inoltre, lei propone anche un altro ragionamento, differenziando chi cammina con la testa rivolta all’indietro, verso un passato (solo apparentemente) glorioso delle nostre montagne, da chi riesce a vivere la montagna con lo sguardo rivolto verso il futuro, oltre la siepe, pensando a come le nostre montagne possano essere vissute non solo da noi, ma anche dai nostri figli e nipoti.

Quindi, perché ostinarsi a voler guardare indietro, a voler preservare i fasti del passato, di fronte alle iniziative più innovative e futuribili (anche se un po’ invasive) che vengono presentate alle nostre valli? Ad esempio, perché opporsi all’idea del collegamento degli impianti di Colere e Lizzola ipotizzato da RSI Impianti e Valle Decia Srl, che prevede l’installazione di cinque impianti a fune più una teleferica che attraversa per 450 metri il Pizzo di Petto (opportunamente forato, s’intende).

Morale: non bisogna aver paura di rompere qualche uovo se vogliamo garantire la continuità della vita in valle. Se non vogliamo vedere le nostre montagne spopolate e ridotte a siti archeologici, destinazioni turistiche farcite di visite guidate che mostrano l’idillio della vita agreste (solo per chi non ne ha vissuto le fatiche). Quindi ben vengano investimenti come quello proposto dalla squadra del signor Massimiliano Belingheri.

A PROPOSITO DI COLERE-LIZZOLA

A questo proposito però, non posso non farmi alcune domande. Mi chiedo, ad esempio, quanto la questione del mantenimento ad ogni costo della montagna quale luogo idilliaco “da cartolina” sia un problema reale. Come anche lei ha sottolineato, sono stati creati diversi poli industriali, molte infrastrutture e, perché no, se ne possono costruire altre. Non sono forse importanti i poli industriali? Le infrastrutture di trasporto, comprese alcune seggiovie? Certo, ma c’è costruzione e costruzione. Alcune infrastrutture presenti nei progetti di collegamento intervallivo, ad esempio quelle ipotizzate nella Val Conchetta e nella Val Sedornia, sarebbero costruite in zone che il nostro Paese si è impegnato a proteggere recependo la direttiva “Habitat” dell’Unione Europea, impegnandosi a “identificare e proteggere siti di interesse comunitario per la conservazione degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna selvatiche”. Si tratta di zone di altissimo pregio naturalistico e di una fragilità particolarmente elevata per gli endemismi presenti, per la flora e per la fauna.

E non si tratterebbe di un intervento di poco conto. Si parla di circa quaranta mila metri cubi di materiale estratto, costruzione di plinti, posizionamento di pali e funi, interramento di tubature e cablaggi, costruzione di bacini d’accumulo idrico su terreno carsico. Questi e altri interventi sono previsti nel cuore del parco delle orobie.

Perfino il Piano di Governo del Territorio del comune di Valbondione prevede che “tutti gli interventi infrastrutturali ed edilizi ammessi dovranno avere caratteristiche di sostenibilità, essenzialità e reversibilità ambientale e paesaggistica”. Attendo che qualcuno mi spieghi come può essere reversibile un tunnel di otto metri di diametro in una montagna nel bel mezzo di una zona speciale di conservazione (ZSC). Un amico proponeva tappi di sughero giganti. Chissà.

Insomma, è indubbio che sia un bene il creare infrastrutture per promuovere le attività della valle, ma le zone di costruzione possono essere estremamente diverse e non per nulla salvaguardate da leggi e da enti diversi. La questione è sia estetica che ecologica. Non solo la montagna si mantiene bella da vedere (cosa che, comunque, credo giovi anche ai futuri investimenti turistici), ma si mantengono quella flora e quella fauna che sono protette da leggi dello Stato al sicuro da certi interventi disastrosi.

Leggo anche nel suo articolo che l’intervento del collegamento Colere-Lizzola interessa praticamente solo il comune di Vilminore. Anche qui mi faccio qualche domanda. Mi chiedo in che senso un progetto che si propone di arrivare a 150.000 presenze nella stagione invernale, che presuppone un problema di viabilità in tutta la valle (riconosciuto anche dal proponente) e che vuole vendere un format specifico di turismo, danneggiandone altri, possa interessare solamente il comune di Vilminore. Non è così, evidentemente. Le conseguenze della creazione di un impianto del genere avranno ricadute su tutti i comuni della valle. Avranno una ricaduta sui prezzi delle abitazioni, che cresceranno. Avranno una ricaduta sul modo in cui vivremo il traffico. Avranno una ricaduta sulla progettualità futura dei nostri territori.

LA QUESTIONE NEVE

Durante l’incontro tenutosi a Clusone lo scorso novembre abbiamo avuto il piacere di ascoltare Agnese Moroni, una ricercatrice di EURAC Research, accademia europea che si occupa, tra le altre cose, di ambiente ed economia sostenibile. Agnese ha parlato delle Alpi come di “un ambiente particolarmente fragile e particolarmente soggetto alle conseguenze del cambiamento climatico”.

È stato ospite anche Luca Rota, grande conoscitore delle dinamiche montane e che si occupa da anni di progetti e produzioni culturali per i territori di montagna. Luca ha citato, non un ambientalista, ma niente popò di meno che Berno Stoffel, Direttore di (SBS), l’associazione delle funivie svizzere, il quale ha affermato che “il riscaldamento globale viene ormai considerato come parte integrante della strategia del settore. Il futuro degli impianti di sci è oltre i 1800 metri”.

Come coniugare tutto questo con l’investimento massiccio in impianti di risalita a bassa e media quota? Non è vero che sopra i 1500 metri ci saranno nevicate copiose, come lei suggerisce. Il calo delle nevicate sopra i 1500 metri sarà semplicemente meno marcato. Ma ci sarà. Inoltre, l’aumento delle temperature non solo significa meno nevicate, ma anche maggiore difficoltà e maggiori spese per il mantenimento del manto nevoso, meno giorni in cui sarà possibile sparare la neve, più neve sparata che poi rischierà di sciogliersi al sole e più energia necessaria per il funzionamento dell’innevamento artificiale (con buona pace dei contribuenti, sempre chiamati a chiudere le falle degli impianti di risalita in difficoltà economiche).

Eh sì, perché di soldi dei contribuenti si tratta. E oggi si raggiunge un nuovo record: addirittura oltre il 70% dell’investimento (50 milioni di euro su 70) sono richiesti ai contribuenti. Cinquanta! Su settanta! Basti pensare che, negli anni tra il 2002 e il 2024, i milioni di euro stanziati per tutti gli impianti a fune della Lombardia si stimano tra i sessanta e i settanta. Quindi, con un solo investimento, quasi si pareggia quanto richiesto in vent’anni.

Già dire “un privato con i suoi soldi fa quello che vuole” non è semplice. Un privato non può proprio tutto. Ma ancora meno semplice è giustificare un investimento privato sostenuto da fondi pubblici (pubblici, soldi nostri) in un unico giga intervento da (se va bene) settanta milioni di euro. E se va male? Chi ci metterà i soldi per coprire le eventuali perdite? Qualche idea?

Certo, certo. Un investimento pubblico di queste dimensioni potrebbe avere degli enormi benefici sulla comunità della valle. È ovvio, bisogna vedere la ricaduta sul sociale delle due valli, in termini economici, come lei suggerisce. Insomma, un’opera di questa magnitudine potrà dare una spinta galvanizzante alla produttività delle nostre valli. Anche qui però, signor Bonicelli, non posso non farmi alcune domande. Davvero è così?  Davvero la spinta all’economia (ammesso che ci sia) porterà una spinta altrettanto marcata al benessere? Miglioreranno le nostre valli in termini di servizi alla persona? In termini di mobilità? Nella vivibilità generale? Come giustifichiamo il ragionamento secondo il quale il miglioramento dei servizi e della vivibilità saranno conseguenze logiche di opere di questo genere?

Prendiamo l’esempio del prezzo delle abitazioni. Chi propone questo progetto afferma che il valore degli immobili subirà un’impennata grazie al collegamento intervallivo. Ma l’aumento del costo degli immobili, come si è visto ad esempio a Ponte di Legno, è un fattore enorme che concorre allo spopolamento montano. Il costo delle case diventerà sempre più proibitivo per quelle famiglie che non hanno avuto la fortuna di ereditarne una. E per quelle famiglie fortunate sarà una scelta importante decidere di non trasferirsi altrove per poter ricavare una rendita dalla loro proprietà. Quindi la creazione del comprensorio rallenterà o accelererà lo spopolamento delle nostre valli? Io credo se ne possa discutere.

Si potrebbe parlare molto e molto ancora dei dubbi che questo progetto suscita, ma mi rendo conto che lo spazio, e la pazienza dei lettori, sono limitati. Eppure, sono dubbi che attanagliano moltissime persone, come ha dimostrato il successo di partecipazione dell’incontro che si è tenuto a Clusone. Per chi volesse approfondire, è online la registrazione completa dell’incontro nel quale si pongono molti altri interrogativi.

E si propongono anche alternative. Occhio, non soluzioni, ma alternative. Una soluzione è qualcosa di univoco, di analitico. A un problema matematico si dà una soluzione matematica. Ma per un problema sociale, generazionale, economico, politico, estetico, come quello che stiamo affrontando, non ci possono essere soluzioni prêt-à-porter.

ALTRE VIE

La montagna incantata o abbandonata? Lo sguardo rivolto all’indietro o proiettato in avanti? Amore romantico o amore patologico? Davvero, signor Bonicelli, dobbiamo restare prigionieri di queste opposizioni intellettuali che limitano altre aperture, altre opzioni immaginative? Non è forse il momento di aprirci a una terza via, a una quarta, a un pensiero che sappia accogliere la complessità di quello che ci troviamo a progettare?

Non possiamo affrontare un problema complesso come lo spopolamento delle montagne con un manicheismo esclusivista, che impone la scelta tra “o così, o si muore”. Serve pazienza, serve dialogo, serve il coraggio di scavare a fondo per scoprire e costruire alternative che rispettino la complessità delle nostre sfide. L’unica via è instaurare un dialogo tra tutti. Non tra tutti gli operatori economici, ma tra tutta la società civile, tutti gli abitanti di queste meravigliose valli che sono chiamati, insieme, a rispondere alla domanda: Quale montagna vuoi?

terre Alt(r)e


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